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Marco SommaniAlla base del progetto che portò alla definizione dell'Internet Protocol (IP) c'era il presupposto di poter assegnare un indirizzo IP globalmente univoco (pubblico) alle interfacce di rete di tutti i sistemi connessi.

Nella Internet che generalmente utilizziamo, basata sulla versione 4 del protocollo IP (IPv4) con indirizzi di 32 bit, da tempo questo presupposto progettuale viene violato. Già da più di un decennio la Internet IPv4 è costituita da un nucleo centrale in cui si usano indirizzi univoci (pubblici), contornato da numerose isole nelle quali vengono riutilizzati, in maniera non più univoca, gli indirizzi riservati per le "Private Internet" (RFC1918: blocchi 10.0.0.0/8, 172.16.0.0/12 e 192.168.0.0/16).

Nei punti di contatto fra le isole e il nucleo centrale, i Network Address Translator (NAT) effettuano sul traffico in transito la conversione fra indirizzi pubblici e indirizzi RFC1918 e viceversa, generalmente mappando molti indirizzi RFC1918 dell'isola su un unico indirizzo pubblico.

Questo accorgimento ha permesso ad Internet di continuare a crescere fino ad oggi, apparentemente sconfessando tutte le previsioni pessimistiche con cui, a partire dal 1991, è stato ripetutamente pronosticato l'imminente esaurimento degli indirizzi IPv4.

Coloro che, alla fine degli anni '70, progettarono l'IPv4, avevano in mente una rete che avrebbe collegato per lo più università e organismi di ricerca governativi e militari statunitensi. Avevano inoltre in mente un mondo in cui la densità dei computer era enormemente più bassa di quella odierna.

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